sabato 16 maggio 2020


Oggetti e colori da sempre identificano icasticamente forme e comportamenti della creatività giovanile.
Italia, seconda metà degli anni sessanta del secolo passato. La bandiera gialla diventò il simbolo del beat e della nuova musica rock che giungeva dal mondo anglosassone. La trasmissione radiofonica Rai che fu all'origine di tutto scelse questo simbolo cromatico perché era quello che veniva issato sulle navi in quarantena: la musica nuova, bandita inizialmente dalle emittenti nazionali, rompeva in modo esplosivo l'isolamento e diventava fenomeno di costume. Una celebre canzone dell'epoca intitolata “Bandiera Gialla” contribuì a rendere questo simbolo ancora più noto e consolidare il ruolo del “giallo” come colore della musica beat.
Negli stessi anni, ad Amsterdam, decine di giovani pedalavano allegramente per il centro della città cavalcando le famose “biciclette bianche”: l'obiettivo era creare contrasto con il comportamento giudicato antisociale degli automobilisti. Questo mezzo di trasporto era il simbolo dei Provos olandesi: le loro azioni e i loro happening furono anticipatori delle battaglie contro il consumismo e per l'ecologia caratteristiche del decennio successivo.
A Mantova, da quasi vent'anni, è indubbio che la creatività giovanile trovi il proprio simbolo più visibile e riconoscibile nelle “magliette blu”, ossia l'indumento che indossano i volontari (per lo più adolescenti e ragazzi) del Festivaletteratura. Durante la manifestazione che si svolge ogni settembre dal 1997 questi punti blu sparsi per la città sono il riferimento che permette all'evento di funzionare in modo efficiente. E il successo e la popolarità del Festival dipende anche da questi ragazzi non solo per l'apporto in termini organizzativi e logistici ma anche e soprattutto per la ventata di entusiasmo e di rinnovamento che portano alla città in questi cinque giorni di fine estate.
Dal momento che anch'io sono stato “maglietta blu” per diverse edizioni del Festival, ho ritenuto, in via del tutto eccezionale, di smettere in questo articolo i panni del cronista e assumere quelli del testimone per raccogliere qualche mio ricordo legato al tema “essere ventenni al Festivaletteratura”. Compio questa operazione, apparentemente ardita rispetto all'impostazione di questo lavoro, perché voglio contribuire ad affermare un fatto peraltro ben noto: questo evento culturale di caratura internazionale è molto di più che la somma di singoli eventi che si alternano in modo serrato durante circa 100 ore. Qui la teoria olistica funzione perfettamente: il Festivaletteratura è anche l'insieme delle relazioni che si instaurano tra creativi e creativi, tra giovani e creativi, tra giovani e giovani e ovviamente tra tutti questi elementi e il resto del pubblico e della cittadinanza. E l'effetto che si produce e che rimane alla fine della manifestazione è una meccanismo ad orologeria che se non viene disinnescato da una quotidianità crassa e apatica porterà prima o poi a qualche esplosione di creatività.
Come è ben noto, a creare Festivaletteratura è stato un comitato organizzatore di professionisti mantovani che decise di provare a dare corpo all’idea di realizzare un festival letterario a Mantova, prendendo come modello iniziale il festival di Hay-on-Wye in Galles. Il gruppo di ideatori, costituito da Laura Baccaglioni, Carla Bernini, Annarosa Buttarelli, Francesco Caprini, Marzia Corraini, Luca Nicolini, Paolo Polettini e Gianni Tonelli, ha elaborato un modello di Festival assolutamente originale, adeguato alla realtà urbanistica e storica di Mantova e capace insieme di innovare profondamente il modo di avvicinare il pubblico alla letteratura. I giovani, come già detto, sono stati fin da subito un elemento centrale di questa iniziativa e fin dal primo anno, il 1997, il reclutamento delle magliette blu si rivelò un successo.
Nel mio caso, tuttavia, la prima edizioni la vissi solo da spettatore, passando per Piazza Leon Battista Alberti mentre Alessandro Bergonzoni celebrava un suo monologo. Ero allora poco più che diciottenne. L'idea mi conquistò e l'anno successivo decisi di entrare nello staff di volontari.
Terminati gli esami all'Università di Bologna nell'estate del 1998, iniziai a frequentare il quartier generale del Festival di allora che era sito in Via Chiassi. Il responsabile dei volontari del Festival era già da allora Alessandro Della Casa. Fui dotato di una postazione al computer e durante agosto fui coinvolto nella preparazione dell'evento. Con me, altri studenti universitari e anche vari studenti delle scuole superiori di Mantova: il Festivaletteratura permetteva un mescolamento di compagnie giovanili tradizionalmente piuttosto chiuse.
Fin dall'inizio il Festival favorì la mobilità di volontari nazionali e internazionali: quasi come la Firenze alluvionata degli anni sessanta, si mobilitarono schiere di giovani intenzionati a “salvarsi la vita” con i libri e con la cultura, e così facendo, salvare anche la città “addormentata”, almeno per qualche giorno. Giungevano poi i tirocinanti dall'estero, che lavoravano durante l'anno alla preparazione dell'evento e contribuivano a prolungare l'atmosfera internazionale in città nell'arco dei dodici mesi.
C'erano riunioni assembleari rivolte ai volontari: alcune di esse si svolsero presso la Sala delle Capriate in Piazza Leon Battista Alberti. Poi c'erano anche riunioni a gruppi ristretti, a secondo dei compiti assegnati. Nel frattempo, ciò che accadeva era ovviamente il fatto di fare conoscenza con decine di giovani, tutti più o meno appassionati a qualche forma creativa o perlomeno interessati ad aggregarsi per qualcosa di nuovo o diverso. Ricordo, tra i vari incontri, quello con un allora giovanissimo liceale, Gabriele Rampi (oggi uno dei migliori contrabbassisti jazz del territorio e non solo). Ci fermammo una mattina in un bar a prendere qualcosa da bere: lui mi raccontò della sua passione per la fotografia e di un viaggio che aveva fatto a New York. Ricordo altri incontri con ragazzi e ragazze e occasioni di scambio e confronto: alcuni erano ad orari davvero atipici, perché proprio in quell'anno furono inaugurate le colazioni con l'autore, che ovviamente, come ogni altro evento del Festival, prevedeva una nutrita partecipazione di volontari.
Io, a quei tempi, ero un fervente seguace della poesia e uno scrittore di versi in erba. Il Festival per me rappresentava dunque non solo la possibilità di conoscere l'opera di autori importanti, ma anche di avvicinarli e osare (perché no?) chiedere loro se erano disponibili a leggere alcune delle opere che componevo. Ricordo un incontro al Festival nel 1999 con il poeta Luigi Manzi, che prima di allora non conoscevo. Non ebbi nemmeno l'accortezza di documentarmi e, a fine incontro, mi avvicinai dicendogli che avevo trovato molto interessante l'incontro, per questo avevo comprato il suo libro. Gli chiesi un autografo e gli confessai che non conoscevo i suoi versi ma che mi era piaciuto il suo approccio alla poesia. In quel frangente misi da parte ogni timidezza e gli domandai se potevo inviargli un manoscritto. Lui fu molto cortese e mi segnò il suo indirizzo di casa sul frontespizio del libro, aggiungendomi una dedica “A Fabio, innamorato dei versi....non i miei”. Francamente non ricordo se poi mai diedi seguito a questo contatto e inviai a lui qualche componimento.
Queste erano (e sono) tipiche situazioni da Festivaletteratura: probabilmente chiunque ami scrivere o ami la cultura ne ha vissute di simili. Esistevano poi una serie di riti quasi obbligati (e comunque piacevoli) a cui si sottoponevano i volontari dell'evento, come ad esempio la risottata finale della domenica sera oppure la festa che si svolgeva nei giorni successivi in qualche campo sportivo della Provincia (ricordo sicuramente Soave).
Il Festivaletteratura è un evento importante per i giovani anche da molti altri punti di vista. Ad esempio, in quegli anni vidi passare a Mantova, durante i giorni del Festival, molti miei compagni di Scienze della Comunicazione a Bologna, quasi che per pochi giorni Mantova diventasse la città felsinea come vitalità e densità di studenti. Poi, con i primi anni duemila, al Festival sperimentai le mie prime esperienze giornalistiche significative quale collaboratore con la Gazzetta di Mantova: lì avvennero i primi incontri, le prime interviste con personaggi noti a livello nazionale. Oltre a questo, nei giorni del Festival si sviluppa una ricchissima teoria di eventi “off” che diventano corollario degli incontri ufficiali in programma: praticamente a ogni ora del giorno e della notte si può fare qualcosa di interessante e mai come in quei momenti si vorrebbe chiedere al genio della lampada il dono della ubiquità. In me, verso la fine degli anni novanta, si accese la passione per la cultura del continente latino americano: poter incontrare a Mantova personaggi come Eduardo Galeano, Daniel Chavarria, Mario Vargas Llosa, Hebe de Bonafini e tanti altri fu il miglior modo possibile, insieme ai viaggi che ho effettuato, per alimentare questa passione e definirne una progettualità, un obiettivo, uno scopo.
Ogni mantovano della mia generazione potrebbe riscrivere questa storia alla propria maniera, segno evidente che chiunque ha un debito di riconoscenza nei confronti di questa manifestazione. Io, da molti anni oramai, ho smesso di fare la “maglietta blu”. Nel frattempo ho scritto vari libri e, in un modo o nell'altro, in ognuno di questi viene citato qualche incontro o episodio accaduto al Festivaletteratura, a questa manifestazione ancora così giovane. D'altra parte, lo diceva anche uno dei tango più celebri di sempre, “Volver” di Carlos Gardel: venti anni non son niente. E il Festival li deve ancora compiere.

Tratto da 


Mantova Beat & Bit

Storie di creatività del nostro territorio dagli anni Sessanta ad oggi.

Sometti Editoriale (Mantova), 2014

http://fabioveneri.blogspot.com/p/mantova-beat-bit.html

Foto tratta da pagina facebook Festivaletteratura 


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