Piceno Sentimentale: ventuno lettere per un emozionario e una
lettera appassionata.
A -
Adriatico
Da quella
parte del mare c’è il Piceno. Dobre, Fabio, dobre.
Con una piccola barca veleggiare da Zara o da Spalato. Partire piuttosto da
Itaca e avvicinarsi alle tue coste. Da lontano, la spiaggia, il Tronto e le
colline che prendono a poco a poco consistenza come in un abbraccio. Da
lontano, vedere anche la tua casa, Penelope, in mezzo agli ulivi. La nostra.
B -
Benjamin
scriveva
che i narratori arcaici si dividono in due gruppi fondamentali: gli agricoltori
sedentari, da un lato, e i mercanti navigatori, dall’altro. I primi conoscono
la terra, le storie, le tradizioni orali e le possono narrare. I
secondi hanno viaggiato in nave e chi viaggia per il mondo ha molto da
raccontare. Io sono qui, Penelope, per conoscere storie di mezzadria. Per
sfogliare la margherita del Piceno. E tu? Come si chiama il tuo prossimo mare?
C –
Confine
Oltre il
Tronto, superate le Marche, Alba Adriatica. Le mie ultime estati da bambino.
Gli aquiloni e i maritozzi con la panna. La spiaggia immensa, tutta per noi.
L’infanzia con i colori delle foto di Luigi Ghirri e dei filmini in super 8. E
poi il salto, oltre il confine della pubertà: il ricordo di un manuale di latino
da studiare, quell’estate ad Alba, prima del liceo.
D – Dita
Come un
barbiere esperto, il Piceno, accoglie e fa sedere. Non mi tormenta con domande inutili. In sua presenza, in pace e in silenzio. Quando il lavoro è
già avanzato, le dita attraversano i capelli e disegnano un'altra persona. Io mi guardo allo specchio e ti cerco con gli occhi. Lui ha già posato le
forbici. Eccolo, improvviso. Il bisogno di raccontargli la mia vita.
E -
Emozioni
Il Piceno
è la tua terra, Penelope. Se anche non lo fosse, comunque a questa mi
sentirei legato. Perché c’è molta epica in questa terra, un canto
da salvare che appartiene al profondo e l’energia palpabile di migliaia di
emozioni che sono migrate da qui, verso Bologna, verso il mare.
Però questa è la tua terra, Penelope, e non lo posso dimenticare.
F –
Fischer
Credo che
leggendo queste righe, Penelope, penserai a come sono parziali. Così
ideali, troppo sentimentali. Ti offro parole mie disarmate e, poi, quelle di uno stratega degli scacchi. Niente è più curativo di un gesto umano. Cerco una difesa, il tuo abbraccio.
G –
Grottammare
Quei
faretti arancioni che illuminano, nella notte, i muri del borgo di pietra
rappresentano l’umore segreto delle Marche. Da lassù si domina il mare. Ecco,
così, per sempre.
H –
Harrison
Il signor
Harrison viene da Portland. Oggi ha conosciuto, per la prima volta, il tuo
territorio. Ha ballato, fuori tempo, un saltarello, ha scoperto la dieta
mediterranea e il rosso piceno, ha pianto d’emozione di fronte a un’oliva
ascolana, si è seduto con un vecchio contadino che ha gli stessi occhi che
aveva il bisnonno in una foto. Faccio una rettifica: il signor Harrison in
realtà non esiste. Tutto il resto io l’ho conosciuto nelle Marche.
I -
Italia
I vigneti al tramonto, le olive tenute strette tra le tue mani, genitori e figli, una famiglia di montagne e di colline, l'emozione improvvisa, difficile da descrivere, del primo mare visto dal treno, partendo da Bologna.
L –
Litorale
Mi avevi
portato sulla tua spiaggia, Penelope, di notte. Era deserta, perché la stagione
del turismo era da poco passata. Io ti dicevo parole poetiche, tu preferivi
cantare Joni Mitchell e come lei ti accompagnavi con un dulcimer. Cantavi “Carey”
e mi raccontavi di mondi lontani, Penelope, mondi che non ho mai visto. Era uno
specchio, in fondo. Solo così potevo avvicinarmi alla tua terra.
M –
Monteprandone
Dalla
vettura ho visto il cartello stradale che lo indicava. Mentre la strada saliva
e scendeva, altri cartelli, per Ripatransone, Acquaviva Picena, Monsampolo.
L’eco di questi nomi riempie le colline. Ti provo a chiamare, perché tu,
dall’altra parte, la puoi sentire. La serenata infinita.
N – Nodi
La matita
di Tullio P. ha donato un segno visivo alle colline marittime. Fu Cesare Z. a spingerlo
a Milano. Erano i primi anni sessanta. A Bologna, Pier Vittorio T. scriveva.
Andrea P. disegnava. Era il canto della generazione alla fine degli anni settanta.
E poi ci siamo io e te, Penelope, ora, a stringere altri nodi possibili tra la
mia pianura e il tuo mare.
O –
Offida
Solchi.
Come i calanchi sui fianchi della terra. Come le grinze sui volti degli uomini.
Come le storie degli uomini della terra.
P -
Poesia
Mezzadria
vuole dire… che cosa vuole dire?
Questa
sera assomiglia a un ritorno.
Vedo il
tramonto che scende sulle Marche
e sento
il mare in lontananza. Il tuo tumulto.
Una
storia si può salvare solo raccontandola,
altrimenti
non esiste. Una voce la racconta.
Io sono
poco più di questo, in fondo.
Eppure,
siamo molto più di questo, in fondo, ricordi?
Mezzadria
vuole dire cinquanta e cinquanta.
Cinquanta
a me che trascrivo la storia
e
cinquanta a te che leggendola la ricorderai.
Mezzadria
come dire terra, radici, l'acqua, il segno
inascoltato
di qualcosa di più vero. Cuscì la vita è dura
ma prova
a pnzà com saress la vita senza poesia?
Q –
Quanto
Quanto
dista la mia bocca dalla tua? Una rua, nella notte ascolana.
R – Rua
Rua, dal
latino ruga, piccola strada. Comme une rue à Paris. Como uma rua em
Lisboa. Così ad Ascoli le vie strette, perdute nel centro, sono chiamate
“Rua”. Rua dei Fiori, Rua delle Olive, Rua della Vite, Rua dei Filodrammatici. In
quale di queste, questa notte?
S – Sabir
Penelope,
parli ancora l’antica lingua franca del mare? Tu, che conosci le coste del
Mediterraneo, mi hai insegnato una parola in sabir, ricordi? Quella mattina
lontana, prima che io partissi da San Benedetto. Kiaro. Come
l’Adriatico. Come il tuo cuore, allora. Come il mio cuore, ancora.
T -
Tramonti
Sì,
Penelope, i tramonti tra le colline del Piceno, proprio quei tramonti infiniti
tra le colline infinite che ti hanno spinto a fare ritorno alla tua Itaca.
U – Ulivi
Vorrei
che mi raccontassi di nuovo la storia della tua famiglia. La storia delle tue
radici. La storia che ho tenuto dentro di me, come un talismano, durante tutti
questi anni di navigazione e di silenzio. Ciò che ogni giorno impari dagli
ulivi.
V -
Voglia
Se ti
penso, ho ancora voglia di scrivere. Se ti rivedessi qui a San Benedetto, Penelope, incontrandoti per caso, magari in una libreria indipendente o in quel caffè,
scoppierebbe, di nuovo, tutta la voglia di vivere. Do you know what I mean?
Z - Zolla
I nostri viaggi, Penelope. I nostri
ritorni. Una zolla di terra picena e un amore che è il più grande: quello che anche
senza acqua non morirà.
Piceno, 7
ottobre 2018
Cara Penelope,
ti scrivo questa lettera prima di ripartire. Sono qui,
anche se tu non lo sai. Sono qui e forse sai dove, in realtà. Ma non potevo
rivelarmi. Proprio come tremila anni fa, ad Itaca.
Ti ho cercato in questi giorni, in ogni cosa. La prima
notte, ad Ascoli, ho vagato per le strade, inseguendo parole nuove. Ascoli è
così bella, proprio come la ricordavo. È un anfiteatro: le colline attorno sono
le gradinate e l’arena è un salotto di travertino. Ho bevuto lo spirito della
città, mi hanno condotto nelle taverne dove ancora si mangia forte e si ride
forte. Ho riconosciuto in quell’accento il tuo accento, quel modo di parlare
franco che tu hai, quella particolare apertura della “e”, quell’abitudine a
dire così spesso “ecco.” Ecco, proprio quella tua musica picena che in me ha
continuato a risuonare mentre andavo alla fortuna, nel Mediterraneo.
Ieri mattina, a San Benedetto, ho bagnato i miei piedi
nell’acqua. Non ero solo. Con me, altri Ulisse, per altre Penelope, verso nuove Itaca. Acqua cristallina, un giorno mi avevi detto. È vero, acqua cristallina
anche questa volta. Ho disegnato sul bagnasciuga. Un’onda l’ha cancellato. Io
l’ho ridisegnato ancora più grande, un cuore. Poi mi sono addentrato per la città. Ti ho visto. Ti giuro, ti ho visto. Eri, tu, Penelope, bambina sull’altalena, tu
che chiacchieravi a macchinetta con chiunque ti capitasse a tiro, tu che, già più grande, uscivi la sera con le amiche, emozionata, che davi il tuo primo bacio. Tu che
pensavi al futuro di fronte all’immensità adriatica. Eri tu. So che avevi quel vestito e come erano i tuoi capelli.
Soprattutto, non posso dimenticare il tuo sorriso.
E poi ti ho perso, Penelope, mentre eri già sulle colline, e
vi ero anch’io, nel pomeriggio. Erano dolcissimi, i colori dell’autunno, tra i
filari d’uva e i versanti più lontani dove le pecore sono come puntini in
movimento e i cani e i pastori. Queste sono le radici del Piceno, diceva Omero.
Noi l’abbiamo seguito verso la casa colonica, entrando in una storia più antica.
Omero raccontava che “la storia della mezzadria ha segnato in maniera
indelebile il paesaggio, l’architettura, la cucina, le tradizioni e il modo di
essere dei marchigiani. Le Marche e i marchigiani non possono essere davvero
compresi senza conoscere la storia della loro plurisecolare civiltà rurale”. E
poi sono iniziati i balli sull’aia con l’orchestra e i musici tenevano tra le
mani oggetti strani, tamburelli, raganelle, nacchere e putipù. E io pensavo a
te e pensavo che cuscì la vita è dura ma prova a pnzà com saress la vita senza
poesia?
Ma tu ballavi e suonavi già altrove, ieri sera, forse ad
Offida. Ed era come un carnevale fuori stagione, e c’era il vino, e qualcuno
era in maschera. Io mi sono allontanato dalla musica e ti ho cercato nel Parco
dedicato a Pablo Neruda. Il poeta cileno aveva pubblicato “Venti
poesie d'amore e una canzone disperata”. Io ti faccio un dono. Queste sono ventuno
lettere dell’alfabeto in forma di emozionario. Sono tue, perché tu le hai
ispirate e per il brivido caldo che si rinnova quando torno nella tua terra.
Quest’altra lettera invece non la spedisco. Te la consegnerò di persona. Un
giorno, se mi vorrai Ulisse tra gli ulivi.
Fabio
Questo testo è stato scritto per il progetto Writers for Piceno, ideato dalla start-up i-strategies.
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