Lineamenti
familiari
C’è
una rientranza particolare nella vita di ogni persona, situata tra la
memoria e le aspirazioni personali. Me ne accorgo se ripenso al
periodo che ho vissuto a Bologna. Gli ultimi tre anni alloggiavo in
una stanza in affitto vicino al Palazzetto dello Sport di Piazzale
Azzarita. Di quella zona ricordo almeno tre cose. La pizza per gli
studenti, oltre il viale, a duemilacinquecento lire, ma in periodi di
autogestione anche meno. I krapfen all’angolo tra via Riva di Reno
e via San Felice, tappa fissa nei rientri notturni, con gli sgabelli
e il vetro a muro che immortalava la nostra ingordigia. Il negozio di
musica in Via della Grada, con i compact disc raccolti in teche cosi
alte che l’estrazione da quelle imbracature sembrava un gioco a
metà tra il tetris e il forza quattro.
Al
Rock Shop in Via della Grada andavo spesso ad ascoltare i compact
disc, visto che al piano superiore c’erano un paio di lettori e mai
nessuno metteva fretta per concludere l’acquisto. Cercavo musica
latino americana, gli album di salsa sociale e i cantautori di
protesta. Non ascoltavo ancora Claudio Lolli.
Il
cantautore bolognese sarebbe stata una scoperta successiva. Oggi mi
pare quasi che aver vissuto a Bologna senza ascoltare Lolli abbia
significato non averla compresa fino in fondo mentre la abitavo.
Tutto quel settantasette che presto sarebbe diventato anni ottanta mi
era sfuggito, non l’avevo mai visualizzato davvero nonostante fossi
passato mille volte per Piazza Maggiore e per la Stazione centrale
almeno duemila.
Per
rimediare, una sera di pochi mesi fa mi decisi a stappare una
bottiglia di Albana. “Un vino così rosso, anche se bianco, non si
vedeva dal sessantotto”. Mi avvicinai al computer, un amico mi
aveva prestato “Salvarsi la vita con la musica”, il documentario
dedicato a Lolli. Scoprii molte cose, guardandolo, quella sera. Vidi
con chiarezza una rientranza nella mia vita, come una porta che
permette di inserire un giorno di presente nel passato, o viceversa.
Il
giorno dopo quel brindisi tornai a Bologna. Mancavo da più di due
anni. La città era completamente bianca, era poco prima di Natale e
cadeva la neve. Lungo via Indipendenza, all’altezza di Via
Righi, stavo camminando nel freddo. Con una sciarpa e la barba un po’
incolta vidi venire nella mia direzione Claudio Lolli.
Mi
sembrò incredibile. Era, in effetti, soltanto una combinazione,
certamente tutto ciò era molto evocativo. Non seppi bene cosa
dirgli, allora mi limitai a significargli che, dal mio punto di
vista, ciò che ha scritto è ancora oggi fondamentale per molti di
noi. Altro non gli chiesi, e se ne svanì come un’apparizione
pre-natalizia, angelica e rivoluzionaria allo stesso tempo. Forse, a
voler ben vedere, qualcosa da chiedere a Lolli l’avrei avuto,
qualcosa di ingenuo e sincero. Se
ci fossimo conosciuti durante gli anni settanta, mi avresti fatto
entrare nel tuo collettivo musicale, insieme a Tomasetta, Soldati e a
tutti gli altri? Si sarebbe girata l’Italia suonando “Ho visto
anche degli zingari felici”?
Non
è facile immaginare oggi come quel collettivo di ventenni di allora
se la passi in questo mondo. E cosa abbia fatto in tutti questi anni
per salvarsi la vita. Tuttavia, per almeno uno di loro ho un
riscontro certo. L’ho scoperto guardando proprio quel documentario, dove appare, tra gli altri anche Danilo Tomasetta, il sax
degli “Zingari felici”. Finalmente riuscivo ad associare un viso
a quel nome che varie volte avevo letto sul libretto del compact
disc. Nei riflessi filmati ne scoprii i lineamenti e mi risultarono
subito molto familiari. La location dell’intervista era un negozio
di musica, che Tomasetta gestiva all’epoca delle riprese. Nel video
si vede il sassofonista in effetti impegnato a consigliare qualche
cliente in cerca di ascolti diversi e inconsueti. Anche quel negozio
mi apparve subito familiare. Era a Bologna, zona San Felice,
precisamente in Via della Grada.
Da Memoria dell'acqua, Rayuela Edizioni, Milano, 2012
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