venerdì 12 ottobre 2018

Lineamenti familiari


Lineamenti familiari

C’è una rientranza particolare nella vita di ogni persona, situata tra la memoria e le aspirazioni personali. Me ne accorgo se ripenso al periodo che ho vissuto a Bologna. Gli ultimi tre anni alloggiavo in una stanza in affitto vicino al Palazzetto dello Sport di Piazzale Azzarita. Di quella zona ricordo almeno tre cose. La pizza per gli studenti, oltre il viale, a duemilacinquecento lire, ma in periodi di autogestione anche meno. I krapfen all’angolo tra via Riva di Reno e via San Felice, tappa fissa nei rientri notturni, con gli sgabelli e il vetro a muro che immortalava la nostra ingordigia. Il negozio di musica in Via della Grada, con i compact disc raccolti in teche cosi alte che l’estrazione da quelle imbracature sembrava un gioco a metà tra il tetris e il forza quattro.
Al Rock Shop in Via della Grada andavo spesso ad ascoltare i compact disc, visto che al piano superiore c’erano un paio di lettori e mai nessuno metteva fretta per concludere l’acquisto. Cercavo musica latino americana, gli album di salsa sociale e i cantautori di protesta. Non ascoltavo ancora Claudio Lolli.
Il cantautore bolognese sarebbe stata una scoperta successiva. Oggi mi pare quasi che aver vissuto a Bologna senza ascoltare Lolli abbia significato non averla compresa fino in fondo mentre la abitavo. Tutto quel settantasette che presto sarebbe diventato anni ottanta mi era sfuggito, non l’avevo mai visualizzato davvero nonostante fossi passato mille volte per Piazza Maggiore e per la Stazione centrale almeno duemila.
Per rimediare, una sera di pochi mesi fa mi decisi a stappare una bottiglia di Albana. “Un vino così rosso, anche se bianco, non si vedeva dal sessantotto”. Mi avvicinai al computer, un amico mi aveva prestato “Salvarsi la vita con la musica”, il documentario dedicato a Lolli. Scoprii molte cose, guardandolo, quella sera. Vidi con chiarezza una rientranza nella mia vita, come una porta che permette di inserire un giorno di presente nel passato, o viceversa.
Il giorno dopo quel brindisi tornai a Bologna. Mancavo da più di due anni. La città era completamente bianca, era poco prima di Natale e cadeva la neve. Lungo via Indipendenza, all’altezza di Via Righi, stavo camminando nel freddo. Con una sciarpa e la barba un po’ incolta vidi venire nella mia direzione Claudio Lolli.
Mi sembrò incredibile. Era, in effetti, soltanto una combinazione, certamente tutto ciò era molto evocativo. Non seppi bene cosa dirgli, allora mi limitai a significargli che, dal mio punto di vista, ciò che ha scritto è ancora oggi fondamentale per molti di noi. Altro non gli chiesi, e se ne svanì come un’apparizione pre-natalizia, angelica e rivoluzionaria allo stesso tempo. Forse, a voler ben vedere, qualcosa da chiedere a Lolli l’avrei avuto, qualcosa di ingenuo e sincero. Se ci fossimo conosciuti durante gli anni settanta, mi avresti fatto entrare nel tuo collettivo musicale, insieme a Tomasetta, Soldati e a tutti gli altri? Si sarebbe girata l’Italia suonando “Ho visto anche degli zingari felici”?
Non è facile immaginare oggi come quel collettivo di ventenni di allora se la passi in questo mondo. E cosa abbia fatto in tutti questi anni per salvarsi la vita. Tuttavia, per almeno uno di loro ho un riscontro certo. L’ho scoperto guardando proprio quel documentario, dove appare, tra gli altri anche Danilo Tomasetta, il sax degli “Zingari felici”. Finalmente riuscivo ad associare un viso a quel nome che varie volte avevo letto sul libretto del compact disc. Nei riflessi filmati ne scoprii i lineamenti e mi risultarono subito molto familiari. La location dell’intervista era un negozio di musica, che Tomasetta gestiva all’epoca delle riprese. Nel video si vede il sassofonista in effetti impegnato a consigliare qualche cliente in cerca di ascolti diversi e inconsueti. Anche quel negozio mi apparve subito familiare. Era a Bologna, zona San Felice, precisamente in Via della Grada.

Da Memoria dell'acqua, Rayuela Edizioni, Milano, 2012

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