Oggetti
e colori da sempre identificano icasticamente forme e comportamenti
della creatività giovanile.
Italia,
seconda metà degli anni sessanta del secolo passato. La bandiera
gialla diventò il simbolo del beat e della nuova musica rock che
giungeva dal mondo anglosassone. La trasmissione radiofonica Rai che
fu all'origine di tutto scelse questo simbolo cromatico perché era
quello che veniva issato sulle navi in quarantena: la musica nuova,
bandita inizialmente dalle emittenti nazionali, rompeva in modo
esplosivo l'isolamento e diventava fenomeno di costume. Una celebre
canzone dell'epoca intitolata “Bandiera Gialla” contribuì a
rendere questo simbolo ancora più noto e consolidare il ruolo del
“giallo” come colore della musica beat.
Negli
stessi anni, ad Amsterdam, decine di giovani pedalavano allegramente
per il centro della città cavalcando le famose “biciclette
bianche”: l'obiettivo era creare contrasto con il comportamento
giudicato antisociale degli automobilisti. Questo mezzo di trasporto
era il simbolo dei Provos olandesi: le loro azioni e i loro happening
furono anticipatori delle battaglie contro il consumismo e per
l'ecologia caratteristiche del decennio successivo.
A
Mantova, da quasi vent'anni, è indubbio che la creatività giovanile
trovi il proprio simbolo più visibile e riconoscibile nelle
“magliette blu”, ossia l'indumento che indossano i volontari (per
lo più adolescenti e ragazzi) del Festivaletteratura. Durante la
manifestazione che si svolge ogni settembre dal 1997 questi punti blu
sparsi per la città sono il riferimento che permette all'evento di
funzionare in modo efficiente. E il successo e la popolarità del
Festival dipende anche da questi ragazzi non solo per l'apporto in
termini organizzativi e logistici ma anche e soprattutto per la
ventata di entusiasmo e di rinnovamento che portano alla città in
questi cinque giorni di fine estate.
Dal
momento che anch'io sono stato “maglietta blu” per diverse
edizioni del Festival, ho ritenuto, in via del tutto eccezionale, di
smettere in questo articolo i panni del cronista e assumere quelli
del testimone per raccogliere qualche mio ricordo legato al tema
“essere ventenni al Festivaletteratura”. Compio questa
operazione, apparentemente ardita rispetto all'impostazione di questo
lavoro, perché voglio contribuire ad affermare un fatto peraltro
ben noto: questo evento culturale di caratura internazionale è molto
di più che la somma di singoli eventi che si alternano in modo
serrato durante circa 100 ore. Qui la teoria olistica funzione
perfettamente: il Festivaletteratura è anche l'insieme delle
relazioni che si instaurano tra creativi e creativi, tra giovani e
creativi, tra giovani e giovani e ovviamente tra tutti questi
elementi e il resto del pubblico e della cittadinanza. E l'effetto
che si produce e che rimane alla fine della manifestazione è una
meccanismo ad orologeria che se non viene disinnescato da una
quotidianità crassa e apatica porterà prima o poi a qualche
esplosione di creatività.
Come
è ben noto, a creare Festivaletteratura è stato un comitato
organizzatore di professionisti mantovani che decise di provare a
dare corpo all’idea di realizzare un festival letterario a Mantova,
prendendo come modello iniziale il festival di Hay-on-Wye in Galles.
Il gruppo di ideatori, costituito da Laura Baccaglioni, Carla
Bernini, Annarosa Buttarelli, Francesco Caprini, Marzia Corraini,
Luca Nicolini, Paolo Polettini e Gianni Tonelli, ha elaborato un
modello di Festival assolutamente originale, adeguato alla realtà
urbanistica e storica di Mantova e capace insieme di innovare
profondamente il modo di avvicinare il pubblico alla letteratura. I
giovani, come già detto, sono stati fin da subito un elemento
centrale di questa iniziativa e fin dal primo anno, il 1997, il
reclutamento delle magliette blu si rivelò un successo.
Nel
mio caso, tuttavia, la prima edizioni la vissi solo da spettatore,
passando per Piazza Leon Battista Alberti mentre Alessandro
Bergonzoni celebrava un suo monologo. Ero allora poco più che
diciottenne. L'idea mi conquistò e l'anno successivo decisi di
entrare nello staff di volontari.
Terminati
gli esami all'Università di Bologna nell'estate del 1998, iniziai a
frequentare il quartier generale del Festival di allora che era sito
in Via Chiassi. Il responsabile dei volontari del Festival era già
da allora Alessandro Della Casa. Fui dotato di una postazione al
computer e durante agosto fui coinvolto nella preparazione
dell'evento. Con me, altri studenti universitari e anche vari
studenti delle scuole superiori di Mantova: il Festivaletteratura
permetteva un mescolamento di compagnie giovanili tradizionalmente
piuttosto chiuse.
Fin
dall'inizio il Festival favorì la mobilità di volontari nazionali e
internazionali: quasi come la Firenze alluvionata degli anni
sessanta, si mobilitarono schiere di giovani intenzionati a “salvarsi
la vita” con i libri e con la cultura, e così facendo, salvare
anche la città “addormentata”, almeno per qualche giorno.
Giungevano poi i tirocinanti dall'estero, che lavoravano durante
l'anno alla preparazione dell'evento e contribuivano a prolungare
l'atmosfera internazionale in città nell'arco dei dodici mesi.
C'erano
riunioni assembleari rivolte ai volontari: alcune di esse si svolsero
presso la Sala delle Capriate in Piazza Leon Battista Alberti. Poi
c'erano anche riunioni a gruppi ristretti, a secondo dei compiti
assegnati. Nel frattempo, ciò che accadeva era ovviamente il fatto
di fare conoscenza con decine di giovani, tutti più o meno
appassionati a qualche forma creativa o perlomeno interessati ad
aggregarsi per qualcosa di nuovo o diverso. Ricordo, tra i vari
incontri, quello con un allora giovanissimo liceale, Gabriele Rampi
(oggi uno dei migliori contrabbassisti jazz del territorio e non
solo). Ci fermammo una mattina in un bar a prendere qualcosa da bere:
lui mi raccontò della sua passione per la fotografia e di un viaggio
che aveva fatto a New York. Ricordo altri incontri con ragazzi e
ragazze e occasioni di scambio e confronto: alcuni erano ad orari
davvero atipici, perché proprio in quell'anno furono inaugurate le
colazioni con l'autore, che ovviamente, come ogni altro evento del
Festival, prevedeva una nutrita partecipazione di volontari.
Io,
a quei tempi, ero un fervente seguace della poesia e uno scrittore di
versi in erba. Il Festival per me rappresentava dunque non solo la
possibilità di conoscere l'opera di autori importanti, ma anche di
avvicinarli e osare (perché no?) chiedere loro se erano disponibili
a leggere alcune delle opere che componevo. Ricordo un incontro al
Festival nel 1999 con il poeta Luigi Manzi, che prima di allora non
conoscevo. Non ebbi nemmeno l'accortezza di documentarmi e, a fine
incontro, mi avvicinai dicendogli che avevo trovato molto
interessante l'incontro, per questo avevo comprato il suo libro. Gli
chiesi un autografo e gli confessai che non conoscevo i suoi versi ma
che mi era piaciuto il suo approccio alla poesia. In quel frangente
misi da parte ogni timidezza e gli domandai se potevo inviargli un
manoscritto. Lui fu molto cortese e mi segnò il suo indirizzo di
casa sul frontespizio del libro, aggiungendomi una dedica “A Fabio,
innamorato dei versi....non i miei”. Francamente non ricordo se poi
mai diedi seguito a questo contatto e inviai a lui qualche
componimento.
Queste
erano (e sono) tipiche situazioni da Festivaletteratura:
probabilmente chiunque ami scrivere o ami la cultura ne ha vissute di
simili. Esistevano poi una serie di riti quasi obbligati (e comunque
piacevoli) a cui si sottoponevano i volontari dell'evento, come ad
esempio la risottata finale della domenica sera oppure la festa che
si svolgeva nei giorni successivi in qualche campo sportivo della
Provincia (ricordo sicuramente Soave).
Il
Festivaletteratura è un evento importante per i giovani anche da
molti altri punti di vista. Ad esempio, in quegli anni vidi passare a
Mantova, durante i giorni del Festival, molti miei compagni di
Scienze della Comunicazione a Bologna, quasi che per pochi giorni
Mantova diventasse la città felsinea come vitalità e densità di
studenti. Poi, con i primi anni duemila, al Festival sperimentai le
mie prime esperienze giornalistiche significative quale collaboratore
con la Gazzetta di Mantova: lì avvennero i primi incontri, le prime
interviste con personaggi noti a livello nazionale. Oltre a questo,
nei giorni del Festival si sviluppa una ricchissima teoria di eventi
“off” che diventano corollario degli incontri ufficiali in
programma: praticamente a ogni ora del giorno e della notte si può
fare qualcosa di interessante e mai come in quei momenti si vorrebbe
chiedere al genio della lampada il dono della ubiquità. In me, verso
la fine degli anni novanta, si accese la passione per la cultura del
continente latino americano: poter incontrare a Mantova personaggi
come Eduardo Galeano, Daniel Chavarria, Mario Vargas Llosa, Hebe de
Bonafini e tanti altri fu il miglior modo possibile, insieme ai
viaggi che ho effettuato, per alimentare questa passione e definirne
una progettualità, un obiettivo, uno scopo.
Ogni
mantovano della mia generazione potrebbe riscrivere questa storia
alla propria maniera, segno evidente che chiunque ha un debito di
riconoscenza nei confronti di questa manifestazione. Io, da molti
anni oramai, ho smesso di fare la “maglietta blu”. Nel frattempo
ho scritto vari libri e, in un modo o nell'altro, in ognuno di questi
viene citato qualche incontro o episodio accaduto al
Festivaletteratura, a questa manifestazione ancora così giovane.
D'altra parte, lo diceva anche uno dei tango più celebri di sempre,
“Volver” di Carlos Gardel: venti anni non son niente. E il
Festival li deve ancora compiere.
Tratto da
http://fabioveneri.blogspot.com/p/mantova-beat-bit.html
Foto tratta da pagina facebook Festivaletteratura
Tratto da
Mantova Beat & Bit
Storie di creatività del nostro territorio dagli anni Sessanta ad oggi.
Sometti Editoriale (Mantova), 2014
http://fabioveneri.blogspot.com/p/mantova-beat-bit.html
Foto tratta da pagina facebook Festivaletteratura